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Stile di Vita

Alle volte fare "outing" sul fatto che si è preppers non è cosa facile. Se si incontrano persone che non sono inclini a pensarla come noi, si rischia di essere sottoposti ad una serie di critiche e di osservazioni di vario genere e di passare per pazzi. No, non siamo qui per dichiararci incompresi o per reclamare le nostre ragioni contro gli altri, vogloamo solo esporre due concetti utili per capire perchè alcuni non vogliono neppure affrontare l'argomento rendendo difficile uno scambio di opinioni.

In un confronto, di qualsiasi natura, è sempre indispensabile capire e conoscere al meglio la posizione delle persone con cui parliamo. Per questo è importante capire anche chi ritiene che fare prepping sia tempo perso e capire quali sono i meccanismi che portano queste persone a vivere "con la guardia abbassata". Esporremo il punto di vista di questo stato mentale con una storiella che renderà lampante alcuni principi di ragionamento tanto fallaci quanto pericolosi: la storia delle scimmiette sul ramo.

 

 C'era una volta...

... una scimmietta su un ramo che si faceva i fatti suoi. Altre scimmiette, vedendola, decidono di aggregarsi e cominciano a chiacchierare. Altre scimmiette ancora, vedendo l'assembramento pensano ci sia qualcosa di interessante su quel ramo e, curiose, vanno a vedere.

Una delle scimmiette, rendendosi conto che cominciano ad essere in tante dice:

"Ragazzi... mi sa che siamo tanti su uno stesso ramo... Attenzione! Potrebbe spezzarsi!"

"Ma va là , cosa stai sempre a preoccuparti tu!! Sei sempre li a mettere via liane di scorta, ad accumulare frutta per l'inverno! Per me porti pure jella..."

"Ma no... è che siamo tanti, e sotto c'è il leone..."

"Figurati... dove stanno 10 scimmie ci stanno anche 11 scimmie, no?"

Proprio in quel momento si sente provenire dal ramo un sonoro "Crack!!"

"Ecco visto? ha fatto crack! Si può spezzare!"

"Ma cosa dici? ha fatto crack ma non si è rotto! vuol dire che è resistente! reggerà!"

"Non ne sono sicuro..."

E di nuovo... "CRACK".

"Accidenti ! un'altro crack! finiremo tutti giù!"

"Tutt'altro!! E la seconda volta che dimostra di reggere dopo un crack! visto che hai sempre torto?"

... E fu così che un crack dopo ... tutte le scimmie finirono a terra e se le mangiò il leone...

 

Morale della favola

Molti non preppers danno per certo che talune situazioni non si possano verificare, oppure sono disposti a ritenere l'evento possibile ma non probabile e di certo non destinato a capitare a loro. In un certo senso generalizzano all'estremo il fatto che, non essendo capitato fino a quel momento, non c'è ragione di preoccuparsi del fatto che possa avvenire.

Eppure tutti (finalmente) mettono le cinture di sicurezza in auto, e nessuno ragionevolmente assume di essere immortale non essendo mai morto prima...

Ecco quindi che, tutte le volte in cui il disastro è stato sfiorato ma non è avvenuto, non diventano campanelli d'allarme per una preparazione consapevole, ma una ulteriore dimostrazione di come quella preparazione non sia necessaria. Può sembrare assurdo, e lo è, ma se ci pensiamo e ci confrontiamo con altri scopriremo che è un processo mentale molto più diffuso di quanto dovrebbe. E dipende tutto dal nostro morboso attaccamento alla "normalità".

 

Il normalcy bias

Col termine "normalcy bias" (potremmo tradurlo con "preconcetto o assunto della normalità") si indica lo stato mentale delle persone che, anche dopo un disastro, rifiutano di accettare il fatto che la situazione è cambiata e rimangono attaccate alla loro vita precedente, con gli stessi tempi, ritmi, azioni, abitudini. Un'altra forma che il normalcy bias può assumere è quella per cui si nega in toto la possibilità che possa accadere qualcosa di diverso da quello che è considerato "normale". Potremmo riassumerla come la "sindrome del 'Ma Figurati...'".

Possiamo interpretare il normalcy bias in due modi:

  • da una parte la mente umana rifiuta (per paura?) di accettare la possibilità che si verifichino certe situazioni od eventi e le relative conseguenze
  • dall'altra l'applicazione fallace del processo di inferenza: si assume come certo il fatto che le cose, essendo sempre andate in un dato modo, non hanno altro modo possibile di essere se non quello.

Sono punti di vista che possiamo comprendere ma che sarebbe molto pericoloso accettare o condividere.

Una teoria ancora più estrema del normalcy bias è la teoria del cigno nero, che punta a spiegare la visione che si ha di eventi estremamente impattanti che si ritenevano erroneamente impossibili che si sono spieganti ed accettati solo dopo che si sono verificati. La teoria prende il nome da una citazione in cui si indicava "un uccello nero molto simile ad un cigno". Si trattava effettivamente proprio di un cigno nero ma non veniva riconosciuto come tale dato che tutti i cigni osservati fino a quel momento erano tutti bianchi.

 

Esempi reali

Accade spesso che, durante un'emergenza, la gente prima di reagire si guardi attorno e decida cosa fare in base a quello che stanno facendo gli altri. E' facile che nessuno reagisca all'inizio, forse per paura di fare brutta figura, ma la situazione cambia molto velocemente appena qualcuno prende l'iniziativa. Nel recente massacro di Aurora, negli USA, durante la proiezione del fim Batman, alcuni degli spettatori hanno dichiarato di aver chiaramente visto l'assassino James Holmes entrare e preparare le proprie armi e le protezioni balistiche... ma sono rimasti ai loro posti.

Tra i casi storici è famoso quello del transatlantico Titanic, in cui, si narra, i passeggeri della prima classe continuarono a ballare anche dopo la collisione con l'iceberg cato che all'orchestra fu ordinato di continuare a suonare. Un caso più lontano tristemente noto di questo comportamento è stato il rifiuto di alcuni ebrei di fuggire durante la persecuzione nazzista ed i rastrellamenti, anche se assitevano a questi episodi, ma l'orrore e l'incredulità ebbero la meglio sulla precauzione.

 

Il più colossale caso di 'Figurati'

Recentemente abbiamo purtroppo assistito al più grosso caso di "sindrome da 'Figurai'": il disastro nucleare di Fukushima.

Quell'evento è stato la risultante di una serie di incidenti ed eventi tanto improbabili quanto gravi: terremoto, maremoto, tsunami, inondazione delle camere di raffreddamento, fusione del nocciolo, fuoriuscita di materiale radioattivo, inquinamento dei mari e trasporto delle radiazioni fino all'altro capo dell'Oceano Pacifico. Ogni singolo passaggio è improbabile se preso da solo, e le probabilità che potesse innescare il problema successivo erano esigue. Come dimostrano i fatti, nessuno si sarebbe preso l'incarico di portare avanti un piano di sicurezza che considerasse questa catena di eventi, essendo improbabile ed estremamente  costosa per le tasche di chi doveva assumersi l'onere. E' stata quindi una valutazione costi/rischi.

 

Ma noi speriamo di avere torto

Come sempre un prepper pensa di fare la cosa più saggia pur sperando di avere torto. Nessuno vuole un disastro o un evento catastrofico, di qualsiasi genere e per qualsiasi motivo. La differenza sta nell'avere una sicurezza che viene dalla consapevolezza e dalla reale preparazione a gestire quello che può arrivare, contrapposta alla "serenità dello struzzo" che deriva dal mettere la testa sotto la sabbia per non dover affrontare il problema in toto.

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