Fermo restando che l'utilizzo da parte delle Forze dell'Ordine di questo presidio è lecito e legale quando usato nei modi corretti (e quindi non sparando i candelotti ad altezza uomo) e nelle corrette quantità (e quindi non portando all'asfissia le persone a cui è indirizzato), cosa differenzia questa arma chimica da quelle rese altrimenti illegali persino in scenari di guerra? E come funziona?
Conosciamolo meglio in questo articolo di Anna Franchin per L'Internazionale
Le armi chimiche sono illegali in guerra. Lo stabilisce la Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi chimiche del 1993, che è il primo trattato per la loro messa al bando e proibisce qualsiasi attività per il loro sviluppo, conservazione, trasferimento e uso.
Ma il trattato non si applica alle attività di polizia, non vale cioè per il mantenimento dell’ordine pubblico.
I 189 paesi che hanno sottoscritto la Convenzione possono produrre agenti chimici antisommossa, sostanze cioè che provocano irritazioni o altri effetti temporanei e servono per controllare manifestazioni di violenza collettiva e contenere o disperdere proteste non autorizzate. Basta che gli stati informino un ente internazionale e non accumulino scorte eccessive di queste sostanze chimiche.
Il lacrimogeno usato più spesso dalla polizia è un composto chiamato orto-cloro-benzal malononitrile o gas Cs. Più che di un gas, il Cs ha l’aspetto di una polvere che di solito si mescola al fumo per renderla aerea. Viene lanciato sotto forma di candelotti.
Gli effetti
Se usati in spazi aperti i gas lacrimogeni producono effetti temporanei: bruciore agli occhi e lacrimazione, starnuti, tosse, panico. La pressione sanguigna aumenta, mentre si possono avere difficoltà a respirare e la frequenza del battito cardiaco può rallentare. Il gas Cs causa anche irritazione alla pelle e può provocare conati di vomito e a volte cecità. Di solito questi disturbi svaniscono in poche ore.
Negli spazi chiusi invece gli effetti possono essere più gravi. Quando la polizia decide di usare i lacrimogeni per sgomberare un fabbricato, prima confronta la dose di gas Cs con il volume dell’edificio. Poi calcola la dose letale in rapporto al tempo, valuta cioè quanti minuti le persone all’interno del fabbricato possono resistere all’esposizione al gas senza rischiare la vita. Quando il tempo trascorso dal lancio dei lacrimogeni è al limite della soglia letale, la polizia deve rompere i vetri per far circolare l’aria.
Non si sa di preciso quante persone siano morte nel mondo a causa del Cs. Secondo Amnesty international cinquanta palestinesi sono rimasti uccisi dalle inalazioni del gas alla fine degli anni ottanta e, in seguito alla loro morte, per un periodo è stata sospesa la vendita di gas lacrimogeni a Israele. Ma la notizia non è confermata.
L’Fbi ha usato il Cs nel 1993 durante l’assedio di un ranch a Waco, nel Texas, in cui si trovavano fedeli davidiani, una setta religiosa. L’assedio è durato cinquanta giorni, fino all’incendio del ranch che ha reso difficile chiarire il motivo della morte delle 76 persone che si trovavano all’interno.
Questi fatti hanno spinto a cercare alternative chimiche antisommossa che siano meno tossiche dei gas lacrimogeni, come i maleodoranti, ma nessuna è risultata altrettanto efficace.
Invece la Russia sembra aver seguito la direzione opposta, arrivando ad usare il fentanyl (un potente analgesico che produce effetti simili a quelli della morfina) durante l’attentato al teatro Dubrovka di Mosca, nel 2002. In quell’occasione persero la vita 129 civili e 39 terroristi ceceni.
Armi chimiche in guerra
Negli Stati Uniti un decreto legge autorizza a usare gli agenti chimici anti sommossa in guerra, anche se questo rappresenta una violazione della convenzione del 1993, per proteggere i veicoli militari o prevenire il ricorso a scudi umani.
Da quando hanno sottoscritto il trattato sulle armi chimiche, nel 1997, gli Stati Uniti non hanno mai applicato il decreto. Anche se nel 2003 l’allora segretario di stato Donald Rumsfeld non aveva escluso la possibilità di farlo per il conflitto in Iraq.
In un’intervista del 2003 Elisa D. Harris, docente del Centro studi sulla sicurezza internazionale dell’Università del Maryland, aveva espresso i suoi dubbi sull’uso dei lacrimogeni in situazioni di guerra. “Il ricorso ad armi chimiche letali in conflitti è sempre stato anticipato dall’uso di agenti chimici non letali. Per questo è meglio avere una linea chiara che non prevede l’utilizzo di nessun gas sul campo di battaglia”.
- Fonte: L'Internazionale