Stefano è uno psicologo, e per la sua analisi prende spunto da quello che ha visto nella serie "Apocalittici" del National Geographic, e da quanto letto nella storiella delle scimmiette sul ramo. Va detto che nella storiella probabilmente il messaggio che si voleva dare non è passato...
L'articolo parte proprio da quello che è considerato il punto di partenza del prepping negli Stati Uniti: la guerra fredda: "Il 16 novembre 1984, quando il mondo finì, avevo 13 anni".
Più sotto la risposta in cui (aiuto!) il tentativo è quello di spiegare allo psicologo che siamo "normali"... (risate di sottofondo...)
Alle volte fare "outing" sul fatto che si è preppers non è cosa facile. Se si incontrano persone che non sono inclini a pensarla come noi, si rischia di essere sottoposti ad una serie di critiche e di osservazioni di vario genere e di passare per pazzi. No, non siamo qui per dichiararci incompresi o per reclamare le nostre ragioni contro gli altri, vogloamo solo esporre due concetti utili per capire perchè alcuni non vogliono neppure affrontare l'argomento rendendo difficile uno scambio di opinioni.
In un confronto, di qualsiasi natura, è sempre indispensabile capire e conoscere al meglio la posizione delle persone con cui parliamo. Per questo è importante capire anche chi ritiene che fare prepping sia tempo perso e capire quali sono i meccanismi che portano queste persone a vivere "con la guardia abbassata". Esporremo il punto di vista di questo stato mentale con una storiella che renderà lampante alcuni principi di ragionamento tanto fallaci quanto pericolosi: la storia delle scimmiette sul ramo.
Nella seconda batteria delle eliminatorie degli 800 metri femminili di Londra 2012, Merve Aydin si infortuna a circa metà gara.
Cade, si rialza, potrebbe abbandonare ed uscire ma decide di continuare, come può, la sua gara e di tagliare comunque sia il traguardo. Denti stretti per un minuto e mezzo oltre il tempo delle sue avversarie, zoppicando tra gli applausi scroscianti dell'arena commossa che l'accompagnano fino al monento in cui può accasciarsi a terra e farsi aiutare.
Spirito Olimpico, dedizione, caparbietà e senso dell'onore che vanno oltre il dolore. Una lezione importante e un esempio di forza di volontà.
Ma cosa porta nelle persone questo interesse per il prepping? Sarà che i preppers sono considerati strani? Sarà solo la moda del momento? O c'è qualcosa di più?
Di recente l'Italia è stata percorsa da terremoti reali, ma ancora si sentono molte scosse di quelli politici e non si è finito di contare i danni di quelli economici. La fiducia delle persone nel proprio futuro non è al massimo ed aumenta la sensazione di precarietà e la richiesta di risposte da parte di istituzioni ed autorità che però non sembrano arrivare. Che siano questi gli elementi che concorrono a rendere il prepping più interessante?
Politically incorrect: nel'ultimo post sulle "dieci cose da fare finchè si è in tempo" al punto 3 prendevamo in considerazione di svincolarsi dai vizi, fumo in testa. Tanto è bastato a farci riceve commenti negativi: "ma se io fumo saranno c@x*i miei?"... Certo! con tutto quello che comporta.
Ovviamente non sta a noi valutare nè esporre la cosa dal punto di vista della salute: se non sono bastati anni di ricerche, l'evidenza delle patologie o semplici considerazioni visive, cosa potremo mai fare noi? Ognuno è libero di fare la propria scelta, farsi male come meglio crede e di prendersi le conseguenze...
Approfondiamo la cosa dal punto di vista di un prepper: gestione dello stress e dell'emotività, valore economico e sociale, possibilità che vengono date o tolte a seconda dei casi.